Povera patria


Aumenta sempre più il costo del lavoro in Italia. La tassazione che un operaio si vede applicare sul proprio stipendio sta raggiungendo quasi il 50%, e chissà cosa accadrà nel 2013.


Quanto sono alte le tasse sui lavoratori Entro la fine del 2012 la tassazione sul costo del lavoro raggiungerà il suo massimo storico, il 42,6%. Inoltre le tasse totali degli italiani arriverà al 47,3%, e la pressione fiscale sulle aziende dovrebbe restare ferma al 31,4%.

Anche se in Europa mediamente la tassazione su un operaio è del 34%, in Italia è arrivato quasi alla metà dello stipendio che egli percepisce.

E così l’Italia balza ancora una volta al primo posto per la pressione fiscale sul lavoro.

Eurostat ha comunicato che nel 2010 il peso fiscale italiano era del 42,6%, in Germania del 37,4%, in Francia del 41%, in Spagna del 33%, in Austria al 40%, in Portogallo al 23,4%, nel Regno Unito al 25,7%.

Come se non bastasse, quest’anno il peso del fisco sugli italiani (intendendo solo le persone fisiche) è cresciuto nuovamente, passando dal 45,6% al 47,3%; la pressione fiscale sulle aziende, invece, pare che resterà ferma al 31,4%.
In Europa la media della pressione del fisco nel 2012 sarà del 43,3%, un punto percentuale in più rispetto il 2011, mentre per le aziende sarà del 26,1%, anche qui maggiore di un punto percentuale rispetto il 2011.

Le cose in Italia proprio non vanno bene! Secondo la CGIA Mestre (Associazione Artigiani Piccole Imprese), se un operaio percepisce uno stipendio mensile di 1.226 euro (dati medi) il suo datore di lavoro ne dovrà sborsare in tutto 2.241: questo valore si raggiunge sommando la retribuzione lorda (1.672 euro) al prelievo a carico del datore di lavoro (568 euro).
Lo stesso vale per un impiegato, che se percepisce un netto di 1.620 euro, costerà invece al suo datore di lavoro 3.050 euro (2.312 euro + 738 euro).

Tutto questo cosa porta alla nostra nazione? In poche parole solo licenziamenti dovuti alla chiusura di aziende che vengono solamente spostate in nazioni dove il costo del lavoro è inferiore.



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    Lo spostamento di aziende produttrici dall’Italia all’estero non è ancora finito. Tutte le aziende che economicamente hanno la forza di delocalizzare la produzione se ne stanno andando, e l’Italia accumula disoccupazione.


    Aziende delocalizzate La delocalizzazione è quell’azione con la quale vengono spostate aziende originarie di una nazione in altre nazioni.

    Questo avviene perché i proprietari di quell’azienda o marchio guadagnano molti più soldi chiudendo in Italia e aprendo all’estero, non necessariamente perché diversamente chiuderebbero i battenti! A chiudere sono solo le piccole e medie imprese.

    Infatti solo i grandi marchi di fama mondiale delocalizzano la produzione dei loro prodotti.
    Innanzitutto possono farlo perché hanno i fondi per sostenere l’apertura di una nuova azienda, e poi gradiscono molto che i nuovi operai si accontentino di stipendi miserabili lavorando molto più di 8 ore al giorno in ambienti dove la sicurezza sul lavoro è un sogno e senza l’ombra di un’associazione sindacale.

    La delocalizzazione compiuta negli ultimi 2 anni è costata il posto di lavoro a 34.000 italiani, ma il numero è in continuo aumento dato che le aziende continuano ad andarsene.

    In tutto questo gli italiani vengono anche presi in giro: con la complicità di giornalisti che pensano ancora di esserlo, le aziende diffondono tramite tutti i media italiani la giornata in cui è avvenuta l’inaugurazione della tale fabbrica in Romania, piuttosto che in Russia, piuttosto che in India, ecc.

    Se ognuno di noi analizza dettagliatamente tutto quello che lo circonda in casa propria, scoprirà che molto probabilmente non ha nulla di 100% made in Italy, e forse quello che reca l’etichetta made in Italy è stato prodotto per il 99% in Cina. Ad esempio è pieno zeppo di aziende che producono abbigliamento all’estero e poi, solo per la cucitura dell’etichetta in Italia, diventano dei made in Italy.

    Sul sito nocensura.com potete trovare l’elenco della maggiori aziende che hanno delocalizzato la produzione e vedere quanti operai ci è costato.



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      Ogni volta che si parla di riforma sul lavoro si nominano sempre i giovani e il loro futuro. Ma in tutto questo ci si dimentica sempre degli over 40 senza lavoro.


      Lettera da parte dall'associazione Over 40 ai ministri La riforma del lavoro che il governo Monti sta cercando di portare a termine è forse il tema più delicato che l’Italia intera segue con molta apprensione.

      Ogni giorno i TG nazionali riportano notizie di ogni genere, dove si sente che i sindacati cercano di mediare alcune possibili scelte mentre i lavoratori si trovano il più delle volte a non avere più nemmeno fiducia nei sindacati stessi.

      Si parla sempre di giovani, del lavoro per chi ha terminato le scuole oppure è neolaureato perché i giovani sono il futuro, ma si continua a dimenticare (forse perché “dedicarsi” ai più giovani porta più consenso popolare) che ci sono intere generazioni che hanno perso il lavoro e per le quali non si continua a non fare mai nulla. Stiamo parlando degli over 40 anni.

      Se è vero che un 20enne a diritto di avere un futuro e creare una famiglia se lo desidera, bisogna tenere presente che quello stesso 20enne potrebbe avere il padre o la madre senza lavoro, genitori di un’età variabile tra i 40 e i 50 anni che oltre a non vedere più prospettive lavorative non vedono nemmeno alcuna minima prospettiva positiva per il futuro.

      L’Associazione Lavoro Over 40 ha inviato una mail ai suoi iscritti, contenente una lettera inviata al Ministro del lavoro, al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio, al Ministero delle Attività Economiche ai Partiti in Parlamento ed extra Parlamento, ai presidenti di Camera e Senato e ai Presidenti delle Commissioni Lavoro della Camera e del Senato.

      E’ possibile leggere la lettera integrale sul sito www.lavoro-over40.it.
      Sotto riportiamo il testo introduttivo alla lettera.

      Pregiatissimo……….

      Facciamo seguito ad una prima protesta inviata il 23 gennaio alla attenzione sua e del Ministro del Lavoro (oggetto: un problema spesso dimenticato: gli Over 40 disoccupati e/o precari), nella quale si metteva in evidenza le grandi lacune emergenti dalla adozione del decreto Salva Italia nei confronti dei Lavoratori Maturi (Over 40) in tema di pensione. In quel contesto si lamentava anche il fatto di aver predisposto incentivi all’assunzioni di giovani e donne e di aver trascurato interventi a sostegno della disoccupazione e/o precarietà dei lavoratori maturi (Over 40).

      Con l’attuale discussione in corso sulla riforma del lavoro, ci stiamo accorgendo che non solo non si prevedono interventi a sostegno di questa sfortunata classe di lavoratori, ma vengono confinati agli estremi margini della società, considerati zavorra da gettare alle ortiche; sono diventati lavoratori “invisibili”, cioè lavoratori che non hanno diritti da rivendicare, maltrattati e regolarmente dimenticati da tutti: dalle istituzioni, dai sindacati, dalle aziende, quasi che fossero un peso per la società e per il mondo del lavoro. Eppure possono dare tanto alla società.

      Parliamo di circa 1,5 milioni di persone che scivolano sempre più verso la china della povertà e della indigenza nella totale indifferenza delle istituzioni. Condizioni che dal punto di vista sociale sono aggravate dal fatto che tali persone spesso sono gli stessi padri di quei giovani che tanto vogliamo aiutare e che così ne perdono il sostegno. E sono anche sostegno spesso dei genitori anziani che vedono mancare le necessarie assistenze.

      Chiediamo che tali lavoratori, siano messi nella condizione di poter rientrare dignitosamente nel mondo del lavoro, di essere valutati seriamente e senza stereotipi discriminatori, di essere trattati con la dovuta dignità e rispetto al pari degli altri senza creare ovviamente una guerra generazionale, che nessuno vuole.

      Auspichiamo di poter avere riscontro a questa richiesta e che si presti la dovuta attenzione anche a questo problema che oltre ad essere economico è socialmente rilevante.

      Cordiali saluti



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