PERCHE’ POSSA OTTENERSI, IN BASE ALLA NORMATIVA GENERALE, IL RISARCIMENTO DEL DANNO DA LICENZIAMENTO, E’ NECESSARIO DIMOSTRARE CHE ESSO SIA STATO ACCOMPAGNATO DA UN FATTO INGIUSTO – Comportamento ingiurioso, mobbing, pubblicizzazione del provvedimento (Cassazione Sezione Lavoro n. 21833 del 12 ottobre 2006, Pres. Mattone, Rel. Di Nubila). Anna Maria G. ha chiesto al Pretore di […]


PERCHE’ POSSA OTTENERSI, IN BASE ALLA NORMATIVA GENERALE, IL RISARCIMENTO DEL DANNO DA LICENZIAMENTO, E’ NECESSARIO DIMOSTRARE CHE ESSO SIA STATO ACCOMPAGNATO DA UN FATTO INGIUSTOComportamento ingiurioso, mobbing, pubblicizzazione del provvedimento (Cassazione Sezione Lavoro n. 21833 del 12 ottobre 2006, Pres. Mattone, Rel. Di Nubila).

Anna Maria G. ha chiesto al Pretore di Catania di condannare Bartolomeo D., suo ex datore di lavoro, al risarcimento del danno per licenziamento ingiustificato, in misura di sei mensilità della retribuzione. Il Pretore, essendo risultato che la lavoratrice non aveva impugnato il licenziamento nel termine di 60 giorni dalla comunicazione, previsto dall’art. 6 della legge n. 604/66, ha rigettato la domanda.
La lavoratrice ha proposto appello sostenendo che il termine stabilito dalla legge n. 604 del 1966 non era applicabile poiché ella aveva proposto una normale azione risarcitoria da fatto illecito e non aveva chiesto la specifica tutela prevista dalla normativa sui licenziamenti. La Corte di Appello di Roma ha rigettato l’impugnazione, affermando che ove si verifichi decadenza per mancato rispetto del termine previsto dall’art. 6 L. n. 604/66, non è possibile impugnare il licenziamento e quindi ottenere l’accertamento della sua illegittimità, che costituisce il presupposto per il risarcimento del danno. La lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte di Roma per vizi di motivazione e violazione di legge.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 21833 del 12 ottobre 2006, Pres. Mattone, Rel. Di Nubila) ha rigettato il ricorso. L’attrice – ha osservato la Corte – non ha esperito la normale azione risarcitoria in base ai principi generali, ma un’azione la quale, previo accertamento dell’illegittimità del recesso, doveva mettere capo, in difetto dei presupposti per la tutela reale, al risarcimento del danno nella misura di sei mensilità della retribuzione. L’accoglimento della domanda – ha affermato la Corte – presuppone l’accertamento della mancanza di giusta causa o di giustificato motivo del recesso; ma tale accertamento è precluso dalla decadenza dell’impugnazione.
L’art. 8 della Legge n. 604/1966 prevede il risarcimento del danno da licenziamento ingiustificato nella misura massima di sei mensilità di retribuzione; l’art. 6 della stessa legge prevede che il licenziamento debba essere impugnato entro sessanta giorni dalla sua comunicazione, a pena di decadenza; dal combinato disposto delle due norme – ha osservato la Corte – si ricava che, ove si verifichi decadenza, non è possibile impugnare il licenziamento, e quindi ottenere l’accertamento della sua illegittimità, il quale costituisce a sua volta il presupposto per il risarcimento del danno.

La normale azione risarcitoria da fatto illecito, secondo i principi generali – ha affermato la Corte – richiede anzitutto l’indicazione e l’allegazione del fatto ingiusto il quale si sia accompagnato al licenziamento: a titolo di esempio, può citarsi il licenziamento ingiurioso, il licenziamento come atto finale di un mobbing, il licenziamento pubblicizzato al di fuori dell’azienda con la finalità di nuocere alla figura professionale del lavoratore.
In altri termini – ha concluso la Corte – perché possa riconoscersi il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito, in base alla normativa generale, al licenziamento intrinsecamente ingiustificato deve accompagnarsi un fatto ingiusto secondo i principi generali.

fonte: www.legge-e-giustizia.it



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