Leggi e contratti


Un elenco dei diritti del lavoratore per non dimenticare mai quali sono gli strumenti in suo possesso per farsi valere sul posto di lavoro.


Un contratto di lavoro deve racchiudere una serie di norme che riguarda i doveri del lavoratore e che ne regola l’attività.
Prerogativa del contratto di lavoro è comunque anche quella di includere norme che tutelino tutti i diritti del lavoratore, sia per quel che concerne la sua dignità sia per la sua salute e la sua sicurezza. Questo principio viene riconosciuto al lavoratore dalla Costituzione stessa la quale stabilisce che il lavoratore deve ricevere il giusto compenso proporzionato alle sue capacità e responsabilità.
Altri diritti che spettano al lavoratore sono quello all’assistenza e quello alla previdenza, oltre che all’assicurazione che copra eventuali infortuni sul lavoro.
La Costituzione inoltre garantisce il diritto allo sciopero e all’associazione sindacale.

A supporto di queste norme generali è stato poi emanato lo Statuto dei Lavoratori al quale devono attenersi le imprese industriali private con più di 15 dipendenti e quelle agricole con più di 5 dipendenti. Tale statuto non riguarda però la gestione dei dipendenti degli enti pubblici.

A livello governativo poi esistono tre enti preposti alla salvaguardia di tali diritti che sono:

  • il Ministero del Lavoro, che ha il ruolo di coordinare l’attività amministrativa e di mediare eventuali vertenze tra lavoratore e datore di lavoro;
  • l’Ispettorato del Lavoro, che ha il compito di vigilare sul rispetto delle norme sui diritti del lavoratore da parte dei datori di lavoro;
  • l’Ufficio del lavoro, che si occupa del collocamento dei lavoratori e dell’assistenza agli immigrati.

Fra i diversi diritti del lavoratore, sanciti dalla legge, sono da annoverare senza dubbio il diritto all’astensione dal lavoro per malattia e il diritto all’astensione per maternità. Per quel che riguarda il primo caso, regolato dall’articolo 2110 del Codice Civile, il lavoratore ha il diritto di astenersi dal regolare orario di lavoro percependo tuttavia il proprio compenso che spetta in parte al datore di lavoro, quando previsto dal contratto collettivo, e in parte all’Inps, sotto forma di indennità di malattia. Per avere diritto a tale retribuzione compensativa il lavoratore dipendente deve dimostrare il proprio stato di malattia tramite un certificato medico compilato dal medico di base e presentato al datore di lavoro e all’Inps entro due giorni dall’astensione (con raccomandata r/r). Il lavoratore dovrà poi rimanere a disposizione per eventuali accertamenti sanitari. Tale astensione può protrarsi fino a tre mesi se si ha un’anzianità di servizio inferiore ai dieci anni e fino a sei mesi con un’anzianità di servizio maggiore. Oltre tali limiti, ove necessario, il lavoratore può chiedere un periodo di aspettativa durante il quale però perde il diritto alla retribuzione compensativa.

Nel caso di maternità, una lavoratrice dipendente sia del settore pubblico sia del settore privato, ha diritto ad un periodo di astensione dal lavoro di cinque mesi completamente retribuito. Tale periodo deve essere obbligatoriamente distribuito nel seguente modo: i due mesi precedenti al parto e i tre mesi successivi. Da qualche anno tale diritto è estensibile anche al padre, purché sia un lavoratore dipendente, e solo nel caso in cui la madre non possa usufruirne in quanto lavoratrice non dipendente. Inoltre la gestante può avere diritto anche all’astensione anticipata a partire dal momento iniziale della gravidanza qualora questa presenti complicazioni o qualora le mansioni svolte dalla lavoratrice non siano congeniali al suo stato di gravidanza.



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    Il lavoro interinale è nato anni fa con la motivazione che “flessibilizzare” il lavoro avrebbe giovato a tutti. Invece così non è stato, e l’ultima legge Biagi ha dato la mazzata finale al futuro di tutti i lavoratori italiani.


    Cosa e' e come funziona il lavoro interinale Il lavoro interinale è, per definizione, un lavoro temporaneo e provvisorio (“interim” in latino vuol dire infatti “provvisorio”).

    Questa nuova tipologia di contratti di lavoro è stata introdotta nel 1997 dalla Legge Treu (legge 24 giugno 1997, n.196). Tale legge ha poi subito delle modifiche successive nel 2003, con la legge n. 30/2003 e il decreto legislativo che ne è derivato, (il D. Lgs. 24 ottobre 2003, n. 276, la cosiddetta Legge Biagi). In particolare, la Legge Biagi ha introdotto una tipologia di contratto diversa, il cosiddetto “Lavoro a Progetto”.
    L’esigenza di questi nuovi rapporti di lavoro nasce da una richiesta di maggiore flessibilità da parte delle aziende che potevano avere bisogno di un lavoratore anche solo per brevi periodi di tempo.

    Cerchiamo ora di capire meglio come funziona un contratto di lavoro interinale.

    Innanzitutto bisogna individuare i soggetti coinvolti in questo tipo di contratto, che sono tre: il Temporary (agenzia di lavoro interinale), cioè l’azienda che recluta e fornisce i lavoratori temporanei; l’azienda utilizzatrice, cioè l’azienda che per diversi motivi dovesse aver bisogno di lavoratori per brevi periodi; il lavoratore stesso.
    Sono diverse le ragioni per le quali un’azienda potrebbe aver bisogno di rivolgersi a un Temporary per la ricerca di personale temporaneo; ad esempio per sopperire ad un’assenza prolungata di un proprio dipendente per malattia o gravidanza; oppure perché, in un momento in cui la mole di lavoro cresce, l’azienda non ha a disposizione figure professionali da impegnare in un dato settore, ecc.
    Il lavoratore temporaneo non viene assunto dall’azienda utilizzatrice ma bensì dalla Temporary che provvederà ad indirizzarlo all’utilizzatrice inquadrandolo nello stesso trattamento economico dei dipendenti del suo livello presenti in quest’azienda. Pertanto sarà sempre la Temporary a provvedere alla retribuzione e al versamento dei contributi previdenziali del lavoratore.

    Il lavoratore che abbia bisogno di tale tipo di impiego dovrà presentare il proprio curriculum all’agenzia Temporary e prendere contatti per un eventuale impiego.
    Una volta assunti, la durata massima del contratto può essere di due anni, comprese eventuali proroghe. In ogni caso l’azienda utilizzatrice potrebbe scegliere di assumere il lavoratore a tempo indeterminato, qualora ne avesse bisogno. In casi di questo genere però, la società fornitrice potrebbe opporsi, avendo essa stessa un contratto con il lavoratore.

    L’utilizzo del lavoro temporaneo può essere destinato a tutti i tipi di aziende, sia pubbliche che private; al contrario è vietato ricorrere a questo tipo di contratti se le aziende intendono sostituire lavoratori in sciopero, oppure per lavori legati a qualifiche di basso livello.

    La legge sul lavoro interinale impone delle regole precise che le società di fornitura di lavoro devono rispettare; vediamone alcune:

    • le agenzie di lavoro interinale devono essere società di capitali e devono eseguire esclusivamente quella attività, non abbinabile a nessun’altra;
    • devono avere la loro sede in Italia e i loro dirigenti e soci non devono aver subito condanne penali;
    • inoltre esse possono operare solo previa autorizzazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

    In ogni caso, sebbene questa forma di lavoro sia stata introdotta sul mercato con le migliori intenzioni e abbia, almeno nel periodo iniziale, contribuito a collocare sul mercato del lavoro diverse persone, è stata una delle cause principali della condizione di precariato vissuta dai giovani del nostro paese negli ultimi anni.
    Se da una parte è vero che in questo modo risulta più facile trovare lavoro, dall’altra è pur vero che i lavori svolti con questo tipo di contratti non forniscono alcuna garanzia o certezza per il futuro del lavoratore stesso.



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      AD una donna muore il marito mentre egli si sta recando sul posto di lavoro e l’Inail non vorrebbe che la vedova avesse un giusto risarcimento che invece sarebbe spettato al marito. Ma la Cassazione dà ragione alla vedova.


      La Cassazione rifiuta la richiesta dell'assicurazione di riavere il denaro indietro. Il 15/NOV/2009 la Terza Sez. della Cassazione Civile ha rigettato la richiesta di una società assicurativa di riavere il denaro che essa aveva dato alla vedova in quanto la donna aveva già ricevuto altro denaro, a titolo di rendita INAIL, dopo la morte del marito in itinere (durante il tragitto che lo portava sul luogo di lavoro).

      Questa sentenza sarà sicuramente un forte precedente per altre causa riguardanti il lavoro e la sicurezza sul lavoro, anche perché la Cassazione ha riconosciuto alla vedova anche il risarcimento del danno subito “iure proprio” (richiesto direttamente) per la perdita economica non più percepita dopo la morte del marito. Questo è accaduto perché la rendita INAIL è una cosa diversa dal risarcimento del danno, in quanto si tratta di titoli diversi e non sono assolutamente da confondere o da compensare durante la procedura di liquidazione.

      La Corte di Cassazione ha rigettato la richiesta dell’assicurazione con questa motivazione: “L’erogazione della rendita Inail alla vedova del lavoratore infortunato non esclude la risarcibilità del danno patrimoniale da lucro cessante, non potendosi applicare il principio della “compensatio lucri cum damno”, in considerazione del diverso titolo giustificativo delle erogazioni in questione”.

      La Cassazione ha deciso di risolvere la causa dichiarando che non c’è bisogno di obbligare l’INAIL a pagare poiché questo è già previsto dalla legge, mentre il risarcimento del danno deriva dalle norme contenute nel codice civile, nel codice delle assicurazioni private e nella legislazione speciale, che riguardano l’illecito civile da circolazione di veicoli.



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